Voglia di maternità: come affrontarla se si soffre di psoriasi
Una giovane donna chiede suggerimenti per realizzare il sogno di diventare mamma: i farmaci per la psoriasi possono rappresentare un rischio per una gravidanza sicura?
Domanda. Mi è stata diagnosticata la psoriasi all’età di 12 anni. Da allora la malattia è stata un crescendo, limitandomi nella mia vita sociale, specialmente nel periodo adolescenziale che ho attraversato non senza problemi, tra sguardi schifati, paura del contagio da parte dei miei coetanei e discriminazione. Al punto da indurmi a lasciare la scuola. Quando ho deciso di curare la psoriasi, la mia vita è cambiata. Ho terminato gli studi, ho cominciato a lavorare e ho conosciuto il mio attuale compagno. Ora ho 27 anni e sto pensando ad una gravidanza, tra mille paure ed incertezze. Quali consigli più dare ad una giovane paziente affetta da psoriasi e con un grande desiderio di maternità?
Risposta. Molte patologie esordiscono quando la donna è nel pieno della sua fertilità, va da sé che la scelta del farmaco deve essere ben ponderata al fine di non arrecare danno alla madre e/o al nascituro. Le malattie reumatiche in particolare (peraltro più frequenti nel sesso femminile) spesso richiedono trattamenti specifici e continuativi, poiché l’assenza di terapia in alcuni casi potrebbe mettere a rischio la salute della madre e/o del feto. Questo genera inevitabilmente incertezze in merito alla decisione di intraprendere determinate terapie in donne desiderose di programmare una gravidanza o continuare trattamenti in corso di gravidanza. Gli inibitori del fattore di necrosi tumorale (anti-TNF) rappresentano una svolta nel trattamento delle malattie infiammatorie come la psoriasi, per la loro particolare efficacia come pure per la sicurezza. Da evidenze cliniche di pazienti in trattamento ignare di essere in gravidanza o da casi di malattie severe per le quali in accordo con la madre i medici hanno deciso di continuare il trattamento sembrerebbe che gli anti TNF non presentino particolari aspetti di teratogenicità (ossia la capacità di determinare malformazioni congenite nel nascituro).
Peraltro, grazie a studi clinici che hanno analizzato bambini nati da madri trattate in gravidanza è stato possibile dimostrare che un particolare anti-TNF con struttura lievemente diversa dai farmaci della stessa classe, abbia una trasmissione feto-placentare ridotta (ossia minima trasmissione del farmaco da madre a feto sia minima), questo ne ha permesso l’uso anche in gravidanza e allattamento, come previsto da autorizzazione dell’Agenzia Europea del Farmaco.